Fare una richiesta e ricevere il no del cavallo… e se la nostra reazione svelasse di noi quello che di noi non vediamo?
Un invito a riflettere sul potere del “no” nella relazione e sui suoi tanti (e inconsapevoli) risvolti…
Relazione e libertà
La libertà, in una relazione, è un concetto bellissimo. Ma include un presupposto che di solito tendiamo a non considerare nella sua potenza: la possibilità di scegliere e, soprattutto, il diritto di dire “no”.
Non so se avete mai avuto modo di rifletterci, ma all’interno di una relazione il “no” ricevuto, per noi umani, non ha mai lo stesso valore del “no” offerto: a dire “no” vogliamo essere tutti legittimati, ma quando si tratta di riceverlo da un altro, tutto cambia…
Quindi spesso l’aspettativa relazionale suona più o meno così: “Tu chiedimi e io sarò libero di risponderti di no; io ti chiedo e… tu dimmi (sempre) di sì. Guai a te se dici “no”: le conseguenze non tarderanno a farsi sentire nella relazione”.
In effetti se vogliamo davvero parlare di libertà in una relazione, la possibilità di accogliere noi stessi e l’altro anche nel rifiuto è di vitale importanza: non si può parlare di libertà se non si è davvero liberi di scegliere il “sì” o il “no”. Altrimenti, che libertà sarebbe?
Se portiamo questo concetto nella relazione con i cavalli, spesso si scopre che anche quando si parla di “lavoro in libertà”, il “no” del cavallo è una variabile poco, se non per niente, considerata.
Al “no” del cavallo si fa pressione maggiore. Si usano trucchetti condizionanti. Si insiste. E soprattutto si perde completamente la lucidità nel vedere il cavallo in quell’esatto momento in cui dice no (e i no” del cavallo possono avere tante ragioni… Ecco perché nel mio approccio "AS ONE - L'arte di relazionarsi ai cavalli con la sola presenza" il secondo rituale è "IO TI VEDO" ed è di fondamentale importanza). Di solito tendiamo a vederne una sola cosa: il “no” come affronto al nostro valore personale e al nostro potere. Insomma, la prendiamo malissimo e quasi sempre, entriamo in sfida col cavallo.
Entrare in sfida
“Entrare in sfida”.
Vorrei invitarvi a riflettere su questa locuzione verbale e soprattutto a chiedervi se pensate esista questa modalità nel mondo intraspecifico dei cavalli e, nel caso esistesse, quale obiettivo si porrebbe l’ “entrare in sfida” di un cavallo con un altro.
E poi vorrei invitarvi a riflettere su che cosa, invece, significhi per un essere umano “entrare in sfida” con il cavallo e che “sapore” interiore e obiettivo ha questa nostra tendenza (assai diffusa nel mondo equestre) a sfidare il cavallo…
Vi pare che siano la stessa cosa?
Pensateci, anche se in questo articolo vorrei più di tutto accompagnarvi a pensare a un’altra domanda e che non riguarda il cavallo, ma riguarda noi personalmente nell’attimo in cui abbiamo di fronte un cavallo che ci sta dicendo no a una richiesta...
La domanda è:
“Che cosa mi accade, quando il cavallo si rifiuta di fare quello che voglio io? Come reagisco al suo no?”
La domanda, se fatta con onestà, svelerà una serie di aspetti che ci riguardano e che sono spesso poco considerati dal momento che quasi mai ci rendiamo conto che nella relazione con il cavallo noi portiamo il nostro modo di muoverci nel mondo e lo mettiamo continuamente in atto…
Una domanda che ne porta con sé tante altre
Ora, però, se grazie alla nostra relazione con il cavallo avessimo voglia di cogliere l’opportunità di interrogare noi stessi, ci accorgeremmo che quella semplice domanda fa emergere aspetti addirittura più importanti e che riguardano la nostra vita e, in particolar modo, il nostro rapporto con il “no”…
Ecco alcuni aspetti che riguardano il nostro rapporto con il "no" (con domande annesse):
L'inclusione (o meno) del "no" nella nostra vita: sappiamo esprimere il nostro e accogliere quello dell'altro? Il "no" è uno strumento esistenziale oppure un mostro dai mille volti da combattere ad ogni costo perché portatore di crisi?
Le nostre aspettative rispetto al “no”: lo mettiamo in conto o lo escludiamo a priori come possibilità?
La nostra reazione emotiva rispetto al “no” ricevuto: lo accettiamo? Ci arrabbiamo? Entriamo in frustrazione? Andiamo in ansia? Ci sentiamo feriti e sfidati nel nostro valore personale, sentendoci in dovere di reagire immediatamente per eliminarlo e riacquistare potere sull'altro?
La capacità di valutare le varianti del “no”: Sappiamo ascoltare e vedere l'altro nel suo "no"? Sappiamo capire di che "no" si tratta? “No, non ora”; “No, non così”; “No, non ci riesco”; “No, devo pensarci”; “No, così mi fa male”; “No, così non capisco”; “No, è fuori dalla mia portata”; “No, è troppo per me”; “No, non credo di essere capace”; “No, non vorrei”; “No, per favore”; “No, grazie"; "No, avrei bisogno di altro"...
La nostra capacità di trovare un compromesso tra la nostra richiesta e la risposta dell’altro: desistiamo? insistiamo? Persistiamo? Aspettiamo? Proviamo a chiedere meglio? Entriamo in sfida di potere e dominanza e, per cecità frustrata, siamo capaci di tutto, anche di violenza pur di costringere l’altro a dire “sì” alla nostra richiesta? Oppure ci fermiamo e ci chiediamo se “abbiamo posto la domanda sbagliata o l’abbiamo posta in modo sbagliato” e, soprattutto: siamo capaci di accogliere il “no” come risposta definitiva (se non altro immediata)?
È interessante quante cose possa svelare di noi, il semplice “no” di un cavallo.
Quello che mi sento di dire, occupandomi di intelligenza emotiva e di reazioni emotive umane da tanti anni è che qualunque relazione intratteniamo – con un altro essere umano o con un animale – questo sarà sempre lo specchio della nostra visione interiore del mondo e del nostro modo di agire, funzionale o disfunzionale che sia.
Nel relazionarci e nel fare richieste all’altro (e nella capacità o incapacità di farle, perché non si può dare per scontato l’esserne capaci, talvolta chiedere è più difficile che rispondere…) si disvela il nostro essere più profondo e la nostra maturità emotiva in quanto alla parola “libertà” all’interno di una relazione.
Non esiste libertà e maturità lì dove la parola “no” non sia inclusa. Solo i bambini fanno i capricci di fronte a un “no” e non lo considerano come possibilità esistenziale: eppure, è assolutamente vitale che sia un genitore ad abituare il bambino a un “no” prima che lo faccia la vita perché quando arriveranno i “no” della vita ci si potrebbe trovare impreparati ad affrontarli e questi ultimi saranno molto più impietosi di quelli di un genitore che ci insegna a contenere le nostre richieste assolute e infantili...
Il "no" come specchio di noi stessi
La verità è che chiunque non abbia fatto pace con il “no” (da dire o da ricevere) nella propria vita, avrà molto da imparare quando si troverà di fronte a un cavallo perché, in una sub-cultura equestre difficile da sradicare, il “no” di un cavallo non solo non è pensabile, ma legittima – senza alcun filtro – reazioni di rabbia e violenza e coercizione, simili a quelli di un bambino capriccioso: niente più di un “no” di un cavallo rivelerà paure e vulnerabilità e senso di inadeguatezza e reazioni immature, perché i cavalli sono sempre lo specchio denudato dell’amore o disamore e del rispetto che mettiamo nella nostre vite, prima verso noi stessi e poi verso l’altro.
Accettare il “no” – dato e offerto – e includerlo come possibilità esistenziale con cui convivere è un atto d’amore: non esisterà mai vera libertà e vero amore senza la possibilità di un “no” e soprattutto, senza la capacità di capire se esiste un margine di contrattazione e compromesso. E se è vero che molti “no” sono solo momentanei ed esiste la possibilità di trovare una via di mezzo o di trasformarli rispettosamente in un “sì”, altri purtroppo sono assoluti.
E allora la vera domanda che conta è: sappiamo distinguere gli uni dagli altri e, soprattutto, sapremo fare pace con tutte le possibilità e scelte che conseguono a un "no" momentaneo o a un "no" assoluto, pure se non ci piacciono? Sapremo fluire con la vita anche quando - attraverso un altro da noi - ci dice "no" e ci costringe a cambiare direzione magari per il bene di entrambi?
Il “no” è un grande maestro.
E a mio avviso, lo è ancora di più se arriva da un cavallo che in quel "no" si offre come specchio proiettivo di tutte le nostre luci e di tutte le nostre (inevitabili) ombre.
Saperle vedere e riconoscere, è l'atto d'amore più grande che possiamo fare: a noi stessi, a loro e a chiunque incrocerà il nostro cammino.
© Alessia Giovannini
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