Ho scritto due libri sui cavalli - Il potere segreto dei cavalli e Richiami di vento e di criniere - ma quella che state per leggere è la cosa più difficile che io abbia mai scritto.
In questo testo, che è quasi una lettera aperta rivolta agli amanti dei cavalli, vi svelerò un piccolo segreto che riguarda la mia relazione con i cavalli (e in particolare con quelli traumatizzati) di cui sono a conoscenza solo poche persone.
Vi svelerò anche perché ho scelto di parlarvene e perché ho bisogno del vostro aiuto: ma, in cambio, vi chiedo di avere il tempo e la pazienza di leggere questo articolo fino in fondo…
Buona lettura!
La mia personale esperienza con i cavalli
Da molti anni (più di una decina) la mia “attività” personale con i cavalli avviene sempre e solo in un’unica modalità: passo ore e ore accanto a loro senza fare (apparentemente) nulla se non osservarli nelle dinamiche relazionali e stabilire una connessione con la mia sola presenza.
Per lo più, ho passato e passo il mio tempo con i cavalli in branco (non sono mai cavalli selvaggi, ma branchi di cavalli messi insieme dall’uomo e dall’uomo gestiti) o, in alternativa, con cavalli soli e abbandonati dai proprietari (ne sono pieni i maneggi) e che nessuno guarda più.
Molto di quello che so sull’interazione tra cavalli e sulle loro esigenze me lo hanno insegnato loro. L’esperienza più bella e – oserei dire più straordinaria – me l’ha offerta l’ "Allevamento Regina Vivarum" che mi ha concesso di stare insieme alle cinque fattrici e ai cinque puledri (nati quasi di seguito uno appresso all’altro) fin dal giorno della loro nascita. Non credo che avrei potuto scrivere il mio libro Richiami di vento e di criniere se non fosse stato per quello che ho visto in riferimento alla cura, alla protezione, all’educazione e al legame magico tra madre e puledro e che ho sperimentato mentre ero con loro: le fattrici mi hanno accolto e dato fiducia e mi hanno permesso da subito di avvicinare i puledri, facendomi spesso il regalo di lasciarli soli con me, mentre loro andavano a bere o semplicemente si riposavano.
Oggi loro ed io siamo amici e i puledri mi permettono di fargli la toeletta (adorano farsi spazzolare o pettinare) e spesso giocano con me o si sdraiano in mia presenza per riposare. Le ore che ho passato con loro sono così straordinarie che un giorno ne racconterò e, al momento, il mio più profondo augurio è la speranza di aver contribuito a dare a questi giovani cavalli “una positiva esperienza dell’umano” che gli permetta di avere fiducia in noi e di lasciarsi avvicinare e maneggiare da un futuro proprietario senza opporre resistenza…
Il mio piccolo segreto
Al di là di questa mia esperienza con i puledri (unica nel suo genere), quello che in pochi sanno è che, dove possibile - quando mi relaziono con cavalli abbandonati e tristi e che non hanno più nessuno che gli dia una carezza (che siano in branco o da soli) – io provo ad alleviare le loro ferite emotive e la loro solitudine, intervenendo sui traumi che noi esseri umani gli abbiamo inflitto.
Non sono l’unica che lo fa. Siamo in molti ad occuparci di cavalli traumatizzati. È solo che la mia non è una rieducazione o una riabilitazione attraverso il “fare” con il cavallo perché io non faccio niente e non chiedo al cavallo di fare nulla.
Quando intervengo, il cavallo è sempre nudo (no capezze, no lunghine) ed è in totale libertà; da parte mia, non uso strumenti di sorta e non ho nulla in mano. Siamo nudi entrambi, una di fronte all’altro. Siamo in silenzio (anche se io a volte incoraggio il cavallo con la voce) e siamo immobili: non intervengo mai se il cavallo non accetta di fermarsi a pochi centimetri da me di sua spontanea volontà.
I traumi emotivi per cui intervengo li abbiamo causati noi esseri umani. Sono frutto di ignoranza e di arroganza; di distrazione; di rabbia e violenza umana e di metodi barbari e coercitivi perpetrati da convinzioni di dominanza (nostra) e sudditanza (loro) radicati da generazioni e perpetuati fino a noi come certezze assolute.
Ogni cavallo traumatizzato che incontro è un cavallo “spezzato” nell’anima e nel corpo. Un cavallo a cui è stata tolta la dignità perché si piegasse al volere altrui. Un cavallo a cui è stata letteralmente strappata via la Bellezza: tanto più ne aveva, tanta più fierezza, indipendenza e capacità espressiva, tanto più è stato punito e ferito.
Non vi dirò qui tutto quello che faccio con un cavallo traumatizzato e le varie tipologie di trauma. Non è questo il luogo e non è questo il mio intento: posso dirvi che si tratta di un metodo che ho in parte creato e in parte imparato personalmente in California e in Olanda (e dai libri di Margrit Coates) e che assomiglia molto al “soul retrivial” sciamanico e che potrebbe essere appreso da altri. Il mio metodo personale è solo un po’ più difficile perché presuppone una lunga e costante preparazione interiore (non con i cavalli, ma nella vita…), tempo da passare con i cavalli e non prevede alcuna tecnica di lavoro attivo perché il cavallo non viene né obbligato a stare fermo, né toccato e né mosso a comando.
I cavalli traumatizzati
Si parla di trauma quando un essere vivente subisce un’esperienza dolorosa, o più eventi dolorosi e ripetuti che producono una ferita così profonda che questa non solo non guarisce, ma induce nella vittima una serie di comportamenti reattivi (o protettivi) incontrollati e disfunzionali.
Qualche volta il comportamento disfunzionale si riattiva solo se viene toccata la ferita (cioè se l’esperienza traumatica viene ripetuta), qualche altra volta (spesso) come nei cavalli, la ferita è così profonda da produrre danni cronici (fisici, emotivi) e vizi comportamentali che alterano indelebilmente la predisposizione naturale e l’equilibrio del cavallo con tutte le conseguenze nefaste che ne conseguono.
Un cavallo traumatizzato è prima di tutto un cavallo tradito nella FIDUCIA TOTALE E ASSOLUTA che ha riposto in noi, e la sua ferita è sempre una ferita di ABUSO E/o DI CURE MANCATE: un umano che doveva prendersi cura di lui e a cui lui ha donato la sua fiducia, gli ha fatto del male così a lungo (per abuso o omissione) da creargli un danno permanente che ora lo condiziona e gli impedisce di relazionarsi serenamente con qualsiasi umano con cui venga in contatto.
Riconosco sempre un cavallo che si porta addosso un forte trauma: si tratta spesso di un cavallo considerato "difficile" e poco collaborativo e che si oppone a ciò che gli chiediamo o che ha reazioni inaspettate e apparentemente non dettate dalla circostanza attuale; o al contrario, è un cavallo totalmente desensibilizzato e che fa tutto quello che vogliamo come un automa. È un automa perché è totalmente disconnesso da se stesso e da tutto ciò che lo circonda e ubbidisce agli ordini senza opporre resistenza.
Non sempre riesco ad aiutare tutti i cavalli a cui offro sostegno (spesso sono soli e abbandonati da tanto e con traumi molto profondi…) e comunque non intervengo mai su cavalli che abbiano un proprietario da qualche parte a meno che non sia il proprietario stesso a chiedermelo (succede). In ogni caso, prima di procedere chiedo il permesso al cavallo che mi dà sempre segnali corporei molto chiari del suo sì o del suo no e non tratto mai cavalli da gara o agonistici o dalle alte prestazioni.
Senza entrare nel dettaglio del mio operato, posso dire che i no più assoluti vengono da cavalli che hanno deciso che non ne vogliono più sapere degli umani e che non sono più disposti ad entrare in relazione con noi. Sono cavalli considerati “cause perse” da tempo (magari hanno smesso di vincere gare), sono abbandonati a se stessi e non più degni (secondo noi) di amore o di attenzione.
Nella mia personale esperienza, un cavallo traumatizzato si riconosce anche se è in un branco: ad osservarlo si scopre che non riesce mai a relazionarsi bene con gli altri membri che tendono o a ignorarlo o ad allontanarlo. Il trauma ha alterato così tanto la sua natura che lui non riesce a ritrovare la “codifica del branco” (cioè il linguaggio naturale tra simili) e quindi si relaziona poco e solo per lo stretto necessario alla propria sopravvivenza. È come se gli altri sapessero che non possono contare su di lui e non lo includono: la mia convinzione è che, essendo così spezzato e disconnesso da sé e dagli altri, non riesce a muoversi in quella naturale interdipendenza finalizzata al bene comune che da millenni permette ai cavalli di sopravvivere. In natura sarebbe probabilmente il primo a morire perché sta quasi sempre per conto suo e non raccoglie i segnali di allerta o di vicinanza degli altri. Si comporta un po’ come un bambino autistico. Nel migliore delle ipotesi, riesce a trovarsi un compagno di branco preferito che lo accetta malgrado la sua "disabilità" relazionale e che non lo scaccia come fa il resto del gruppo e comunque non gioca mai (attitudine naturale nei cavalli in branco) e - se non c’è un intervento umano riparatore o un umano che se ne prenda cura aiutandolo nella guarigione - si terrà molto lontano dagli umani e non si avvicinerà a noi neanche se lo faranno serenamente tutti gli altri…
L'uscita dal trauma: il passaggio attraverso il dolore
Per quanto amore e impegno io possa metterci, spesso non ho il potere di guarire completamente il trauma e di ridare al cavallo quella fiducia primaria perduta con l’abuso e il tradimento umano.
Quello che posso fare, di solito, è solo aprire una porta e provare a condurlo fuori dal suo buio attraverso un varco al di là del quale c’è un “punto neutro” da cui ripartire: si tratta sempre di un processo di risensibilizzazione del cavallo e di riattivazione di alcune sue risorse naturali danneggiate dal trauma. È come se il cavallo si risvegliasse da un lungo sonno e ripartisse, ma la capacità di ripartenza dipende dalla profondità del trauma: alcuni cavalli hanno danni indelebili e ferite così profonde da non poter fare nulla…
In tutti i casi, il passaggio “dal buio alla luce” è sempre un momento difficile perché si tratta di un processo delicatissimo nel quale io chiedo al cavallo di attraversare la sua ferita per fidarsi di me e ritornare ad avere a che fare proprio con chi – sono un’umana - gli ha fatto del male.
Molti cavalli esitano. Molti hanno bisogno di tempo (anche di settimane o mesi) per decidere e io devo fare come la volpe e il Piccolo Principe prima che mi concedano di aiutarli... Alcuni, terribilmente traumatizzati e feriti e soli da troppi anni, dicono un no senza appello e se ne vanno.
Lo so che probabilmente non mi crederete: ma non so raccontarvi quanti cavalli vedo piangere lacrime vere mentre tendo loro la mano e gli chiedo di fidarsi di me e di "seguirmi" fuori da quel posto buio e orribile in cui sono finiti imprigionati e dal quale non sanno uscire più…
E non potete immaginare quanti proprietari hanno pianto insieme al loro cavallo nel vedere la profondità della sua ferita e mentre lo vedevano “afferrare” la mia mano facendo forza su se stessi per attraversare quel dolore terribile e venire fuori...
Succedono tante cose in quei momenti di passaggio e posso dirvi solo una cosa: vedere un cavallo che attraversa il proprio dolore è una delle scene più forti e commoventi a cui potrete mai assistere e non so neanche se ve la consiglierei… Quando mi è successo di farlo in pubblico per cavalli fortemente traumatizzati, ci sono state persone che hanno dovuto allontanarsi perché non riuscivano a sostenere la percezione di tutto quel dolore che veniva via…
Noi siamo il veleno e la cura
Come dicevo, dopo quel passaggio (che sblocca il trauma ma non lo guarisce), quello che si ricrea è uno “spazio relazionale e di possibilità” in cui il cavallo accetta di riavvicinarsi a noi. Non è lo stesso spazio inviolato della prima volta, quando aveva fiducia assoluta: è uno spazio pieno di terrore perché lui sa quanto male siamo capaci di fargli e più il trauma che si porta dentro è profondo, più avrà paura e più il processo di riavvicinamento richiederà tempo…
I cavalli che sono stati abusati e traumatizzati e che accettano di tornare a mettersi nelle nostre mani dopo un trauma sono esseri di cristallo fragilissimi e che, in virtù delle crepe passate, si spezzano più facilmente e più velocemente si ritraggono rifiutandosi di collaborare, anche a costo di tornare nel buio: bisogna dedicar loro tantissimo tempo e trattarli con molta pazienza e infinita delicatezza, testando il loro limite di sopportazione relazionale che sarà sempre più basso di un cavallo “sano”. In tutti i casi hanno bisogno da parte nostra di maggiori e costanti dimostrazioni di rispetto e di amore:
sono come malati cronici che hanno bisogno di medicine e di cure costanti e il farmaco per loro… siamo noi.
Ora la parola farmaco viene dal greco “farmacon” che vuol dire “medicina” ma anche… “veleno” ed è proprio qui che le cose si complicano e che sorgono domande alle quali molti di noi sfuggono e che non vogliamo ascoltare pur di non dover fare i conti con noi stessi…
Domande quali:
Chi siamo noi?
E che cosa portiamo nella nostra relazione con il cavallo?
E che effetto fa il nostro agire: quello di un farmaco o di un veleno?
E quanto ne sappiamo veramente di quello che gli fa bene e di quello che gli fa male al di là di quello che abbiamo visto fare in giro e che crediamo essere giusto solo perché l’ha fatto un altro prima di noi?
Una grande responsabilità
Ogni volta che prendiamo un cavallo con noi, stiamo prendendo la sua vita nelle nostre mani. E io credo che, oggi più che mai, sia nostra assoluta responsabilità individuale informarci su che cosa determina il suo benessere e sulle scelte che possiamo fare per lui.
Oggi non abbiamo più scuse: ci sono migliaia di studi scientifici e clinici sul benessere equino (fisico ed emotivo) e la nostra generazione di amanti di cavalli ha il privilegio di poter fare scelte impensabili anche solo venti anni fa e che ci permettono di offrire ai nostri amati cavalli metodi più sani in fatto di gestione; di alimentazione; di pratiche equestri; di addestramento; di relazione. Ci sono decine di libri, cartacei e online sul benessere equino. Decine di articoli sul web. Decine di studi clinici consultabili. E vanno sempre più diffondendosi seminari didattici su ogni argomento.
La verità – così difficile da dire – è che servirebbe un atto di umiltà e di coraggio da parte nostra e noi tutti dovremmo smettere di pensare che quello che offriamo ai cavalli va bene così perché si è sempre fatto così. Perché, invece, è da tanto che stiamo facendo così… male.
Un impegno che parte da noi
Non ho scritto questo articolo per farvi sapere che aiuto i cavalli traumatizzati e per incensarmi. L’ho scritto per chiedervi aiuto affinché io non debba farlo più. L’ho scritto affinché possiate riflettere sulla possibilità di dare un amore diverso e più consapevole ai vostri cavalli e di unirvi a chi ci sta già provando dopo aver detto no a metodi di gestione, di equitazione e di addestramento obsoleti e nocivi.
Sono sempre di più le persone che, nel mondo dei cavalli, hanno avuto il coraggio di mettersi in discussione: si sono informate e non solo si sono definitivamente ribellate a quel “si è sempre fatto così” che faceva male ai cavalli e basta, intraprendendo scelte diverse per il loro benessere. Molte di queste persone hanno fatto di più: hanno acquisito competenze nuove e si stanno impegnando personalmente (affrontando critiche e conflitti e scontri) dando vita a scuole e metodi aggiornati per creare un mondo altro e migliore per i cavalli, . Un mondo più rispettoso del loro benessere e della loro salute e lo stanno facendo per amore dei cavalli e perché hanno saputo vedere i danni che gli stavamo infliggendo.
Dal mio punto di vista non si tratta più di acquisire metodi per aiutare i cavalli traumatizzati: si tratta di fare in modo che i traumi non avvengano più.
Si tratta di cambiare il nostro modo di vedere e di vivere i cavalli e per fare questo non dobbiamo agire su di loro, ma su di noi perché il loro benessere dipende totalmente da noi e dalle nostre scelte e conoscenze.
È per questo che vi ho scritto.
Per chiedervi aiuto e per farvi una richiesta accorata: vi prego, proviamo ad amarli di più.
Proviamo a saperne un po’ di più su di loro e ad informarci sulle varie e nuove possibilità che oggi ci vengono offerte in fatto di gestione, di equitazione e di relazione.
Più ne sappiamo e più potremo contribuire a creare un mondo di cavalli migliore di quello che ci hanno lasciato i nostri padri che piuttosto che padri, per i cavalli, sono stati (spesso impietosi) padroni.
Impariamo a fare meglio di chi ci ha preceduto, perché oggi si può.
Vi prego, se amiamo davvero i cavalli, smettiamo ora e tutti insieme di far loro del male.
Alessia Giovannini
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