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E io sono un dono per un altro essere umano?

Aggiornamento: 3 ago 2022

Quando l'amare comincia da noi: lezioni di "pratica d'amore" (e di realtà) dal buddismo zen e tibetano




Amare ed essere amati è, per il buddismo zen, un bisogno profondamente radicato negli uomini (anche se il mito dell’ “io basto a me stesso” Occidentale si ostina a negarlo!) e soprattutto una necessità imprescindibile per la sopravvivenza di tutti perché il mondo (che ci piaccia o no, dicono loro) si basa sull’ “interdipendenza” degli individui: ecco perché con-vivere con amore è l’unico modo in cui possiamo garantirci non solo la sopravvivenza, ma anche una vita reciprocamente felice.

Nessun uomo è un'isola.

I "praticanti" dell'Essere amorevole

I buddisti zen chiamano i propri allievi “i praticanti”.

Solo che i loro allievi non praticano l’arte del Fare (come gli allievi del Mondo Occidentale) e non ripetono dei mantra, ma praticano - attraverso la meditazione silenziosa, l’ascolto profondo e specifici esercizi l'Arte dell'Essere amorevole.


Gli allievi praticano attraverso esercizi specifici:

  • la compassione per sé e per gli altri;

  • la gentilezza amorevole per sé e per l’altro;

  • l’ascolto profondo per sé e per l’altro;

  • il perdono per sé e per l’altro;

  • la visione profonda per sé e per l’altro;

  • la compassione per sé e per l’altro.

Per i buddisti, tutte queste qualità abitano l’uomo solo in potenza e svilupparle è una scelta e un atto di volontà: per svilupparle ci vuole pratica e impegno costante perché non sono naturalmente sviluppate.

Sì, ma perché dovremmo mai farlo?

Perché il buddismo zen sa che, per quanto bravi saremo in qualcosa che “facciamo” nel mondo e che ci porta molti like sul profilo e qualche applauso dal vero o qualche amicizia “giusta” nella vita e per quanto “auto-sufficienti” vogliamo apparire, prima o poi la nostra strada si incrocerà con quella di un altro essere umano che ci toccherà quel punto vulnerabile che ha a che fare con il nostro bisogno di essere amati e che magari abbiamo rimosso fino a quel giorno.


Quel giorno però, quando le nostre strade si incroceranno al di là dei riflettori, dei selfie ritoccati, dei cellulari bellissimi che possediamo, dei posti fighissimi in cui andiamo in vacanza e dove mangiamo, ciascuno porterà nella vita altrui quello che è ed esprime di sé, nel bene e nel male.


La relazione dipenderà da quel bene o male di cui ciascuno di noi è portatore (volente o nolente): sarà il nostro stesso essere a rendere la relazione fonte di crescita e di felicità reciproca o causa di “blocco” (non crescita) e sofferenza...

Siamo fatti - come la vita - di luci e ombre, di glorie e di miserie


Certo basterebbe accettare l’altro incondizionatamente e amarlo così com’è per non avere problemi, ma il buddismo zen sa che per “amare incondizionatamente” e quindi accettare incondizionatamente tutto quello che l’altro ci dà senza avere aspettative e senza soffrire e continuando a donare amore, bisogna aver fatto molta molta strada e molta molta pratica di gestione sulle proprie emozioni, sui propri bisogni (attaccamenti) e sulle proprie aspettative e aver curato bene le proprie ferite: ci si può arrivare, ma ci vuole impegno, l’improvvisazione non basta e spesso è un autoinganno...

In pochi lo sanno fare veramente, per non dire quasi nessuno (e voi conoscete qualcuno che lo sappia fare?)...

Il fatto è che la tendenza a vivere con nodi (ed emozioni) irrisolti della propria esistenza; con desideri eccessivi e con aspettative al limite dell'impossibilità è molto radicata nell’uomo comune e il vero amore incondizionato (e non la sua parvenza!) è un punto di arrivo molto faticoso, perché chiunque di noi è tormentato dal bisogno di avere di più, dall’aspettativa (un po’ infantile ) di voler essere amato “così com’è” e dall’illusione che, per il solo fatto di essere al mondo e di aver sofferto, il mondo ci deve qualcosa in cambio e l'amore non è altro che il riscatto dalle nostre sofferenze e quindi ci spetta di diritto...

Nulla di più lontano dalla realtà.

Il mondo non ci deve nulla. Anzi, il mondo è un luogo difficilissimo, ci viene detto!


Afferma Pema Chodron:

Pema Chodron

“Se puntiamo sulla certezza e sulle sicurezza, abbiamo sbagliato pianeta! La vita è gloriosa e orribile allo stesso tempo. E sapete perché? Perché non può essere altrimenti.

La vita è fatta di cose gloriose e bellissime e di cose miserabili e tristissime: noi abbiamo bisogno di entrambi.

Quando otteniamo dei risultati e la vita ci appare gloriosa, apprezziamo le cose belle, siamo pieni di ispirazione, di coraggio, di allegria, siamo energizzati e possiamo progettare in grande. Ci sentiamo connessi e disponibili. Ma se questo fosse tutto quello che sperimentiamo, presto diventeremmo arroganti e cominceremmo a guardare gli altri dall’alto in basso, ci prenderemmo molto sul serio e vorremmo che gli altri ci pagassero continuamente un tributo perché “noi siamo gloriosi e più degli altri” e pretenderemmo di restare così per sempre.

La gloria che ci accompagna comincia a inquinarsi e a riempirsi di desideri costanti e di dipendenza: cominciamo a volere sempre più successo e sempre più gloria e diventiamo letteralmente dipendenti da tutto ciò che può offrircela: arriviamo ad usare tutto e tutti pur di mantenerla.

Ci alziamo la mattina chiedendoci unicamente: “chi e che cosa posso usare per mantenere o aggiungere gloria alla mia gloria?” e trascuriamo tutto il resto...


Dall’altro lato i momenti miserabili della vita - i momenti dolorosi - ci ammorbidiscono considerevolmente...

Sperimentare la sofferenza è un ingrediente fondamentale per poter esserci per qualcun altro. Quando senti molto dolore, puoi guardare negli occhi un’altra persona perché senti che non hai nulla da perdere - sei lì e basta. Gli aspetti della vita che ci producono sofferenza ci rendono più umili e ci rendono meno duri, ma se cadessimo in questa sofferenza sperimentando solo questa, andremmo a fondo. Saremmo depressi, scoraggiati e non avremmo nemmeno l’energia per mangiare una mela".


"La gloria e la miseria hanno bisogno l’una dell’altra. La prima ci dà l’ispirazione, la seconda ci rende umani”.

E io sono un dono per un altro essere umano?


Così, il buddismo zen non solo ci dice che la vita è molto dura, ma aggiunge che l’incontro con l’altro sarà anch’essa una prova piuttosto difficile: lungo il cammino della vita - ci dicono - incontrerai un altro e quell’altro ti toccherà inevitabilmente, ti influenzerà, metterà il dito nelle tue ferite, scoprirà le tue aspettative e i tuoi desideri nascosti, smuoverà la tua emotività, ti farà scattare tutti i tuoi automatismi oppure ti mostrerà la bellezza che non sapevi di avere, ti darà l’ascolto e l’attenzione che non credevi di meritare, ti chiederà quando non avrai voglia di dare e scoprirà il tuo e il suo bisogno di amore e tu reagirai a tutto questo....


Presto l’altro diventerà il tuo paradiso e il tuo inferno, non perché lui o lei lo sia, ma perché tu reagirai a lui/lei dentro di te e lì, dentro di te, incontrerai il tuo inferno e il tuo paradiso che è solo tuo e che ha a che vedere con tutto quello che sei o che hai mancato di essere...

E' a questo punto che il buddismo ci chiede di sederci un attimo e con quel suo sorriso compassionevole e amorevole che contraddistingue i suoi maestri, ci tocca la spalla e ci chiede: “Tu lo sai chi sei e come reagirai quando verrai toccato o vivi nell’ignoranza (per noi occidentali “inconsapevolezza”) di te?”

Oddio. Aiuto.

“E sei consapevole” continua il buddismo zen sorridendo sempre di più “di quello che porterai TU nella vita di un altro essere umano quando lo incontrerai? E sei consapevole che quello che coltivi nel tuo essere ogni giorno, e dunque quello che SEI, contribuirà a che l’incontro sia un paradiso o un inferno per te e per l’altro?”

Ancora oddio e ancora aiuto. Pietà. Ma no, per i buddisti la pietà è la verità e quindi continuano...

“Lo sai” sussurrano “che se sei pieno di rabbia, di vanità, di aggressività, di presunzione, di auto-assorbimento, di egoismo, di distrazione, di lamentela, di indifferenza, di noia, di invidia, di competizione, di dolore, di egocentrismo, lo sai che questo è quello che offrirai a un altro essere umano quando lo incontrerai, che tu lo voglia o no?”


E poi aggiungono un’altra domanda, forse la più terribile di tutte...

La fanno molto molto sottovoce, ma nessuno di noi scampa a questa domanda che ti fanno i buddisti con il loro stesso essere pieno di compassione:

Ti sei mai chiesto se TU sei un dono per un altro essere umano?



“Amare senza sapere come amare, ferisce coloro che amiamo.”

- Tich Nat Han





E aggiungono, un po’ preoccupati: “E lo sai che gli altri hanno la libertà di poterti rifiutare in virtù di quello che sei?


Eh? Come? Non sarò amato incondizionatamente, con tutto quello che sono nel bene e nel male??????????

No, dice la loro espressione gentile e amorevole e talvolta anche le loro parole: non potrai essere amato incondizionatamente perché è difficile incontrare qualcuno che sappia farlo e perché il tuo essere - se non è stato forgiato dalla pratica dell'amore - potrebbe contribuire all'infelicità dell'altro.

Certo, se l’altro è più bisognoso di te, accetterà tutto di te, anche di soffrire a causa tua, ma non è detto che avverrà e non è detto che sia la cosa migliore. Tu accetteresti di amare incondizionatamente qualcuno che porta nella tua vita il suo buio e le sue ombre rischiando di contagiare anche te?


“Lascia andare le persone che condividono solo lamentele, problemi, storie disastrose, paura e giudizio sugli altri. Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente”

- Dalai Lama


Cosa????? E l’amore incondizionato? Forse il Dalai Lama non sa che l'amore incondizionato è l'unico amore degno di tale nome?

No, il Dalai Lama non è ignorante a tal proposito: è solo molto molto realista perché conosce la natura umana...

Il Dalai Lama sa che la maggior parte di noi non è capace di amore incondizionato (è inutile che ci illudiamo!) e che stare accanto a persone negative innescherà in noi la NOSTRA negatività che verrà ovviamente agìta nel mondo: dal momento che non abbiamo idea di come gestire tutte quelle emozioni terribili che si innescano in noi stando accanto a persone negative, andiamo in contagio e diventiamo noi stessi l’anello di una catena infinita di negatività che si alza la mattina, apre Fb e le vite degli altri, e avvelena il mondo con la sua rabbia, la sua voglia di riscatto, il suo dolore, il suo bisogno di attenzione, le sue delusioni, i suoi infantilismi o la sua prepotenza e la sua arroganza...

Per il buddisti, stare lontani da ciò che ci avvelena (quindi da ciò che di negativo ci contagia non avendo noi fatto pratica dell’antidoto) è un atto di amore per se stessi.

Bisogna cominciare da lì, dicono.


Se non sappiamo affrontare il male e se non sappiamo come non esserne contagiati, stategli lontano, dicono, e frequentate persone che vi fanno stare bene.


Non è la cosa migliore che possiamo fare, ma è sempre un inizio. Bisogna contenere l'antidoto dentro di sé per stare a contatto con il veleno.

L'antidoto si chiama Amore, ma molti di noi, questo antidoto non lo posseggono o non lo praticano a sufficienza...

E allora? Dobbiamo allontanarci da tutti?


Cominciare da noi stessi


Il punto è un altro, ci dicono. Prima di chiederci se gli altri sono dono o veleno nella nostra vita, possiamo cominciare da noi stessi.

"Ti piacerebbe che gli altri possano dire di te: “Questa persona è un dono nella mia vita"?

Sì, ti piacerebbe? Allora sappi che puoi cominciare fin da ora a praticare il tuo Essere Amorevole".

Così ci invitano col praticare più spesso soprattutto per noi stessi le qualità che ciascuno di noi possiede in potenza:

  • gentilezza,

  • compassione,

  • ascolto profondo,

  • presenza,

  • cura,

  • perdono

Le possiamo praticare per noi senza aspettare un altro, ci dicono durante le loro lezioni d'amore.

Le pratichi per te e diventi bravo, diventi TE e quando qualcuno ti incrocerà troverà proprio questo te e tu non dovrai fare altro che essere TE per dar vita all'amore!


Però, purtroppo, prima ci dobbiamo fermare. Dobbiamo stare un po’ in silenzio e trovare del tempo per esaminarci: ci dobbiamo guardare con onestà e accogliere tutto quello che siamo. Compreso il peggio di noi. Lo dobbiamo guardare e lo dobbiamo accettare con compassione, perché noi non siamo altro che lo specchio di tutti gli altri esseri umani: siamo tutti uguali...


Scrive Pema Chodron:

Qualche volta, meditando, scoprirai in te sentimenti di delusione, imbarazzo, irritazione, risentimento, gelosia, paura... Be’, non c’è nulla di male, anzi! Tutti questi sentimenti ti mostrano chiaramente che cosa ti sta ostacolando e ti insegnano a rianimarti e ti spronano a reagire invece di cadere a pezzi e scappare. Sono dei piccoli messaggeri che ti dicono, con grande chiarezza, che cosa ti sta bloccando. Questo preciso istante è il nostro più grande maestro ed è con noi dappertutto!”


E aggiunge amorevolmente:


“Molto spesso le persone - quando cominciano a guardare se stesse - si infilano in questo viaggio pieno di sensi di colpa e di auto-recriminazioni , pensando che se le cose vanno male, loro devono necessariamente aver fatto qualcosa di sbagliato... Non è per niente così! Se vogliamo parlare del karma e di quello che “di cattivo” ci succede, be’ allora il karma è tutto quello che ci succede affinché possiamo aprire il nostro cuore.

Quello che ci succede è direttamente proporzionale a quanto ci ostiniamo a proteggere senza aver compreso che non è questa la via: non serve a niente tenere il cuore prigioniero dietro a muri spessi, perché per essere completamenti vivi e completamente umani dobbiamo uscire dal nido e accettare tutto quello che c’è, sapendo che abbiamo bisogno degli altri.

La guarigione arriva quando lasciamo spazio a tutto quello che ci accade: gioia, tristezza, felicità, disperazione.
Il nostro mondo - interiore ed esteriore - cade a pezzi continuamente e continuamente si ricostituisce”.

“L’unica ragione per cui non apriamo il nostro cuore agli altri” - continua Pema Chodron - “è che, spesso, ci sentiamo confusi e abbiamo paura che non saremo all’altezza dell’altro. In parte è così. Solo se abbiamo imparato a guardare con accettazione e con compassione noi stessi e i nostri limiti, possiamo guadare negli occhi di un altro senza avere paura.


La compassione non è un atto che avviene tra una persona che guarisce e una che è ferita. E’ un atto che avviene tra eguali. Solo se conosciamo le nostre zone d’ombra e le nostre ferite, se abbiamo imparato ad accoglierle e ad averne compassione, possiamo rimanere presenti davanti all’oscurità e alla vulnerabilità di un altro. La compassione diventa reale quando riconosciamo che siamo tutti uguali: tutti condividiamo la stessa bellezza e la stessa difficoltà di essere Umani, nessuno escluso.”




Per i buddisti, tenere il cuore aperto per sé e davanti all’altro, sostenendo tutto il peso delle cicatrici e delle ferite che ci stanno dentro, è l’unico modo per convivere amorevolmente nel mondo.


“Dobbiamo imparare l’arte della visione profonda per guardare l’altro e per capire i suoi bisogni, le sue aspirazioni e la sua sofferenza: questa è la base del vero amore. Ma se non abbiamo imparato a farlo per noi stessi, se non ne facciamo pratica ogni giorno, non possiamo farlo per un altro. E’ così semplice. E così importante.”
- Tich Nat Han

Conclude Pema Chodron:


“Possiamo utilizzare la nostra sofferenza personale come sentiero verso la compassione di tutti gli esseri umani.

Quando cominci a toccare il tuo cuore e a lasciare che gli altri lo tocchino, scopri che il cuore non ha fine, e che non c’è bisogno di nessun’altra cosa, di nessuna soluzione: il tuo cuore è immenso ed è infinito.

Quando ci sentiamo disperati, quando ci sentiamo male per qualsiasi motivo, possiamo connetterci con il cuore di tutte le altre persone che soffrono. Possiamo fermarci e restare lì, senza scappare. Possiamo trovare la forza di sentire l’amarezza di un rifiuto o di un’offesa che abbiamo ricevuto. Sia che siamo a casa, o sotto i riflettori o bloccati nel traffico, possiamo fermarci e guardare gli altri e capire che in quanto alla sofferenza e alla felicità siamo tutti uguali.


"Come me, gli altri non vogliono sentire il dolore fisico e non vogliono sentirsi insicuri e non vogliono sentirsi rifiutati. Come me, tutti gli altri vogliono essere amati. Se riuscirò a sentire questo, allora sentirò l’amore perché l’amore è quell’atto in cui non percepiamo più la nostra separatezza.


"Se riesco a stare in questo luogo di consapevolezza con gentilezza, respirando profondamente, la mia visione del mondo cambierà: potrò sentire che tutti gli altri sono proprio come me, chinati dalla sofferenza e desiderosi di pace e gioia.



Potrò lasciar andare e rilassarmi.

Potrò stare e andare in pace.

Potrò portare pace, nel mondo. Per me e per gli altri.

E potrò finalmente dire di essere un dono nella vita degli altri”.




© Alessia Giovannini


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