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Immagine del redattoreAlessia Giovannini

La solitudine delle anime dissangui



Se mi avessero raccontato che, in tutta questa solitudine, sarebbe stata una scia invisibile dello stesso sangue l’unico modo di tornare a vivere il conforto della tua presenza - seppure mascherata, distante di pelle e di abbracci ma almeno carezzata di occhi veri- avrei chiesto trasfusioni di te, prima di lasciarti.

Avrei preparato ampolle e aghi e cannule di scambio.

Avrei intrecciato i nostri alberi genealogici fino al sesto grado e inchiodato radici all’Inferno.

Avrei chiesto in prestito cognomi da aggiungere e marchiato dello stesso improbabile stemma i nostri passaporti.

E se anche mi avessero detto che un giorno avrei avuto bisogno del tuo stesso sangue per rivederti, mai avrei chiesto di nascerti sorella o madre o figlia.

Perché allora avrei perduto la felicità di impigliarmi a te, me cieca, tra milioni di altri per mano del destino.

Avrei mancato lo stupore di riconoscerti come se ti conoscessi da sempre senza averti incontrato mai.

E non saprei il miracolo (oggi dagli uomini proibito) di tornare alla mia vera casa e finalmente riposare in sguardi e silenzi e braccia che non hanno famiglia se non quella a cui abbiamo dato vita io e te il giorno in cui, pur dissanguati di noi, abbiamo scelto di amarci.

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